I Cani e l'autostima (di Laura Luciani)

 

Qualche tempo fa, una cara amica mi ha riferito di aver sentito parlare di autostima a proposito di cani, da un esperto del settore. Poiché lei stessa si dedica all’educazione dei cani da circa vent’anni e dato che, oltre al fatto che lavoro in un canile, ogni tanto mi diletto a leggere di psicologia, mi ha chiesto perplessa cosa ne pensassi.
Ad essere sincera, ormai non ci faccio neanche più caso quando al prato, nella sala d’attesa di un veterinario o nei colloqui d’adozione al canile, le persone mi parlano di ansia o gelosia riferendosi ai loro animali domestici. Ma l’autostima è una vera novità e lascia perplessa anche me.
Per qualche circostanza fortunata, poco tempo fa, mi è capitato sottomano (trafugato dal comodino del mio compagno) Alla ricerca delle coccole perdute di Giulio Cesare Giacobbe, un libro delizioso che consiglio a tutti (anche a chi non ha mai posseduto neanche un pesce rosso) dove l’autore utilizza spesso vividi esempi tratti dalla vita animale, per sottolineare cosa ci accomuna, e cosa assolutamente no, alle creature che comunemente ospitiamo nei nostri appartamenti e dove tratta la questione dell’autostima in relazione alla complessa evoluzione che porta il bambino (e non il cucciolo) alla realizzazione della personalità adulta.
Facendomi guidare da questo testo prezioso e divertente, e scusandomi in anticipo con l’autore e col lettore per le semplificazioni (non sono un’esperta di psicologia né di biologia!), cercherò di dimostrare come la gran parte dei proprietari di animali domestici, me compresa (con un cane, dieci gatti e quattro tartarughe d’acqua, rientro a pieno nella categoria suddetta) scivolino su interpretazioni basate sulla proiezione di qualità e sentimenti esclusivamente umani, a giustificare i comportamenti, graditi o sgraditi, dei loro animali.
Innanzitutto, stando a quanto appreso durante la lettura, tra umani e animali esiste una differenza fondamentale: la presenza nel nostro cervello della neocorteccia che testimonia l’evoluzione biologica e psicologica della razza umana rispetto alle specie animali. La neocorteccia, infatti, attiva la funzione del pensiero, dell’immaginazione e dell’affettività che, solo apparentemente, è presente negli animali. Quelle deliziose moine che comunemente interpretiamo come dimostrazioni d’affetto, sono dunque richieste di cibo, di protezione e anche di carezze, perché il principio del piacere guida la vita degli animali, come quella dell’uomo .
Annoiati, privati del gusto della caccia, asessuati perché sterilizzati, costretti a rimanere per l’intera esistenza dei cuccioli dipendenti dal loro proprietario, per lo più rinchiusi nella sua tana, i nostri animali per appagarsi, nella maniera più graziosa e infallibile che possono, ci chiedono cibo in continuazione ed è per questo che spesso finiscono per diventare obesi. I proprietari, dal canto loro, sono affamati d’affetto almeno quanto i loro animali domestici lo sono di cibo, per questo non li scontentano mai e barattano una generosa razione per ciò che interpretano (o che vogliono interpretare) come una manifestazione d’amore. La creazione di costose linee dietetiche per cani e gatti è un importante segnale d’allarme su questa situazione.
Ma torniamo alla questione della neocorteccia, dell’affettività e del ruolo dell’autostima nel processo umano della crescita. E’ a causa della neocorteccia se una faccenda apparentemente semplice, come quella del passaggio dall’infanzia all’età adulta, che negli animali è il risultato di un istinto, diventa per noi una cosa estremamente complessa, caratterizzata da diverse fasi (addirittura cinque!) che, se non superate correttamente, rischiano di trasformare l’adulto in un povero nevrotico. Vediamo allora cosa succede agli animali e cosa agli uomini durante questa trasformazione.
Il cucciolo (in questo caso anche quello umano) è caratterizzato da una totale mancanza di autosufficienza. Non è capace di procurarsi il cibo da solo e vive costantemente nella paura perché non è assolutamente in grado di affrontare le difficoltà e le minacce del mondo esterno. Dipende completamente dal genitore che si prende cura di lui e gli permette di sopravvivere. Ha un bisogno costante di essere accudito, tanto che la mamma (ai mammiferi maschi generalmente tocca procacciare il cibo) vi si dedica a tempo pieno. Le gatte, ad esempio, allattano i piccoli finché questi ultimi non sono in grado di alimentarsi da soli. Si dedicano alla ricerca del cibo per loro stesse solo il tempo necessario e cercano di rimanere nei paraggi per intervenire in caso di pericolo. Per circa due mesi, rimangono sdraiate su un fianco con le mammelle ben esposte, pronte a soddisfare i cuccioli famelici. Finché hanno latte, e finché i gattini ne vogliono, gliene danno . Allattando e proteggendo i loro piccoli, le mamme gatte non solo li rafforzano nel corpo, ma danno loro quella sicurezza (e non autostima!) che è indispensabile ai piccoli per diventare adulti.
Sul versante umano, già la semplice la dedizione alla sopravvivenza del piccolo è ben più complicata. Quante mamme conosciamo in grado di occuparsi senza sosta del loro bambino, senza farsi venire un attacco nervoso all’ennesimo pianto? Quante possono permettersi di trascurare il lavoro e gli altri impegni per dedicarsi completamente allo sviluppo della loro creatura? E quante, al ritorno a casa, riescono a seguire i figli dimenticando lo stress di un’intera giornata lavorativa? Senza contare le mode che si susseguono in fatto di alimentazione. Chi scrive è stata allattata col biberon in un periodo (la seconda metà degli anni ’60) in cui si riteneva che il latte artificiale fosse un alimento “completo” (la stessa cosa che dicono oggi sul mangime industriale per animali), identico a quello naturale. Questa opinione all’epoca ha sicuramente sollevato un certo numero di donne poco portate all’allattamento al seno, sia per timore di un danneggiamento estetico che per più seri motivi, ma per fortuna oggi siamo in piena controtendenza, e l’allattamento naturale è considerato prezioso sia dal punto di vista della nutrizione che da quello psicologico (per le fanatiche poi c’è sempre il bisturi). Infatti, oltre alla nutrizione e alla difesa, il cucciolo umano ha bisogno per diventare un adulto sano e in seguito anche un bravo genitore, d’amore. Durante tutta la crescita, avrà bisogno di sentirsi voluto, coccolato, apprezzato, incoraggiato. Un bambino privato dell’amore, diventerà adulto solo nell’aspetto, rimanendo per tutta la vita affamato di quei sentimenti e di quella sicurezza che gli sono mancati quando ne aveva bisogno. Diventerà facilmente un nevrotico, perennemente alla ricerca di un genitore sostitutivo pronto a prendersi cura di lui, ad amarlo, a comprenderlo ed accettarlo. Questo genitore sostitutivo da cui dipendere per la propria felicità potrà essere un marito o una moglie, un fidanzato o una fidanzata, gli amici o il gruppo della parrocchia, persino il figlio (che perversione!), ma, in mancanza di surrogati umani, anche l’animale domestico. Anzi pare che l’animale domestico sia oggigiorno il fornitore affettivo più diffuso .
L’amore di cui necessita il cucciolo umano per crescere dovrà manifestarsi sotto forma di stima e ammirazione, che lo aiuteranno a costruire quella fondamentale fiducia in se stesso che lo renderà indipendente, non più bisognoso degli altri. Oltre all’affetto e all’apprezzamento, il piccolo umano avrà bisogno di un modello di adulto da memorizzare e imitare quando occorre, dell’esperienza dello stato adulto che otterrà soltanto con l’allontanamento dai genitori (anche sotto forma di conflitto), di superare le difficoltà e di controllare l’ambiente. Solo allora, quando sarà stato capace di superare le prove e di affermare se se stesso, l’individuo umano potrà provare autostima, che niente altro è che amore per se stesso, finalmente a prescindere dall’affetto e dal giudizio altrui. Autostima vuol dire autocentratura, ed è la prova del raggiungimento della personalità adulta.
I gattini invece (che per fortuna loro non dipendono dall’apprezzamento degli altri e non hanno neanche problemi con l’Edipo) una volta nutriti e svezzati, diventano adulti assai più facilmente. Mamma gatta infatti, una volta che i cuccioli sono fisicamente in grado, cattura piccole prede (piccole di dimensioni e non di età e quindi capaci a loro volta di difendersi agguerritamente) e insegna loro a cacciare. Quando diventano sufficientemente abili nel gioco della caccia, li lascia andare e torna ad avere una vita indipendente, a cacciare per se stessa e ad accoppiarsi di nuovo. I gattini trasformati da cuccioli in adulti totalmente indipendenti, saranno in grado di badare a loro stessi e di procreare a loro volta.
La mamma umana invece, specie in Italia, non lascia mai volentieri il proprio cucciolo diventare adulto, soprattutto se maschio. Continua, anche se il figlio è grande e grosso, ad occuparsi di lui. Nella migliore delle ipotesi, riordinandogli la stanza, stirandogli le camicie, cucinandogli squisiti manicaretti, col pretesto che al mondo d’oggi è difficile trovare un buon posto di lavoro (il che, purtroppo, è anche vero), nella peggiore, maltrattandolo o torturandolo psicologicamente, con continui rimproveri, tanto da fargli credere che non è in grado di badare a se stesso, cosicché il poveretto finirà per assecondare il progetto materno di rimanere genitore a vita. Non è violenza anche questa? Da qualche parte, Reich scriveva: «Ce lo vedete un cervo che sevizia il proprio cucciolo?». Figuriamoci.
Semplificando, questa volontà di trattenere a sé il “cucciolo” umano oltre i tempi necessari agli apprendimenti fondamentali è un colpo mortale all’autostima dell’uomo, mentre nell’animale l’istinto segue il processo naturale fino alla trasformazione nello stato adulto.
E’ evidente che l’istinto di diventare genitori, per noi umani, non è sufficiente a renderci realmente tali, come invece accade agli animali. E la stessa cosa vale anche per numerosi altri contesti dell’esperienza umana. La neocorteccia ci ha reso le cose ben più complesse. Per questo le categorie professionali che si occupano del benessere animale dovrebbero fare una certa attenzione a non confondere ulteriormente le idee alla gente, che le ha già tanto confuse. Attribuire autostima a un cane o a un gatto non è solo una forzatura, ma una perversione. Rispettare i nostri animali, cercare di donare loro una vita felice e dignitosa, significa in primo luogo capirne i comportamenti dettati dall’istinto e i bisogni. Vuol dire fare di loro dei compagni di viaggio e non dei surrogati affettivi, appiccicando loro addosso le qualità che vorremmo avere noi o che vorremmo avesse il nostro compagno, nostra madre o nostro padre, né tanto meno i difetti che davvero hanno il nostro compagno, nostra madre o nostro padre! Dobbiamo rispettare la diversità di queste creature straordinarie per convivere bene con loro. E se proprio ci scappa di astrarre, una volta abituati a comprendere il comportamento animale sulla base dell’istinto, proviamo a interpretare così anche il nostro, ritrovando un po’ di quella semplicità che sotto sotto invidiamo loro, perché facciamo di tutto per negarla, camuffarla e complicarla.

 

 

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