I canili… luoghi di fortuna,
alcuni, dove chi si occupa degli ospiti lo fa con coscienza, amore
e buona fede… loculi speculativi, altri, dove a differenza
dei primi, l’unico interesse è il guadagno.
Tralasciando il triste accenno, andiamo ad occuparci delle problematiche
di un cane che vive in un canile.
Cominciamo con l’elencare i soggetti tipo
che finiscono nei canili.
Cuccioli provenienti da accoppiamenti fortuiti o voluti dai proprietari,
incoscienti, dei genitori delle creature. Dico e, sottolineerei,
incoscienti, perché questi accoppiamenti sono dati o dalla
mancanza di attenzione durante l’estro delle femmine o dal
desiderio di avere un figlio del soggetto o dei soggetti, già
facenti parte della famiglia.
Incoscienti nel senso di “senza coscienza” perché,
non si può pensare con superficialità alla procreazione.
Senza toccare il tasto delle compatibilità genetiche dei
futuri genitori, guardiamo la parte pratica della questione: dove
finiranno tutti quei cuccioli una volta svezzati?… da amici,
parenti, amici di amici, parenti di parenti, personaggi occasionali
che occasionalmente in quel momento passavano di là?…
e chi vi dice che tutte queste persone si occuperanno della creatura
con coscienza?… nessuno… ma tanto a voi che ve ne
importa, avete il vostro erede, oppure vi siete sbarazzati dei
figli di nessuno portandoli di nascosto in un canile…
Questi cuccioli cresceranno in un luogo diverso dalla città,
per cui se non verranno adottati per tempo, rimarranno deficitarii
di alcune esperienze fondamentali per una vita sociale. Non conosceranno:
il guinzaglio, il fare i bisognini in giardino o comunque in un
luogo che non sia l’appartamento, la pavimentazione di una
casa, l’aspettare buoni il ritorno del proprietario, il
rumore dell’ascensore, le scale, le biciclette per strada,
le macchine, il tram, i bambini che urlano e corrono, il non abbaiare
per qualsiasi cosa, il non ringhiare sulla ciotola per difenderla
dagli altri affamati, e… via, via tutto ciò che può
venirvi in mente di quel che di diverso da una gabbia da dividere
con chissà chi, può esistere.
Cuccioloni che non possono più stare in
famiglia perché quella famiglia trasloca… e vuoi
mettere anche l’impiccio di un cane fra tutte le cose che
ci sono da fare durante un trasloco, per non parlare della difficoltà
di trovare un appartamento che possa ospitare un cane!…
certamente una brandina di un metro quadro occupa molto spazio,
per non parlare di una ciotola e di un guinzaglio!
Adulti che, non sopportando più le stralunatezze
dei proprietari, dopo ripetuti avvertimenti hanno detto “no”.
È facile incolpare il prossimo delle proprie malefatte,
soprattutto se il prossimo è un animale che non può
spiegare le sue motivazioni nella lingua di chi lo ha offeso (nel
senso di arrecare un’offesa, un torto, un danno, un oltraggio…).
Anziani che hanno osato vivere troppo a lungo…
Le razze?
Tutte e non. Soprattutto razze di moda e i non-blasonati.
Questo perché le persone vanno a gusto corrente, a seconda
del lato dove tira il flusso, vanno. Il male di ciò, sta
nel fatto che, non conoscendo la razza o i geni dominanti nel
fantasy in oggetto, non sanno come comportarsi, non sanno che
tipo di educazione dare alla new-entry. E soprattutto non sanno
che, accogliere un cane in famiglia, vuol dire “per sempre”.
Finché sono alle prese con il cucciolo, grossi problemi
non ne hanno, ma basta arrivare ai sei-sette mesi di età,
età in cui la creatura si irrobustisce e muta il tono della
voce, che già le paure attanagliano i neo-precettori. Abbiamo
così, il canetto che fino a quel momento ha potuto ringhiare
sulla ciotola con un tono infantile, messo a punto il nuovo timbro
di voce, renderà isterico dall’angoscia il proprietario.
Morale?… se non sarà corretta l’educazione
di tutto il branco, il cucciolone ora o l’adulto più
tardi, finirà ingabbiato e dimenticato.
Arriviamo dunque ai problemi che un cane, appartenuto
ad una famiglia, può avere.
Il più comune, l’insicurezza e tutto quel comporta.
Immaginate: la solita uscita, il guinzaglio, la macchina…
che non porterà al parco o in gita dai nonni, ma in un
carcere… e senza capire il perché, il vostro cane
si ritroverà rinchiuso in gabbie allineate, piene di altri
carcerati che gli urlano contro – chissà che cosa
– e quel cagnetto, che fino a un momento prima, aveva vissuto
in un appartamento, assecondato nelle sue volontà, cosa
può pensare?… e voi, come vi sentireste al suo posto?
I soggetti positivi, gli estroversi, i buontemponi se ne faranno
una ragione – forse – ma gli altri?… cominceranno
a vivere lo stress di una vita lontano dal luogo che fino ad allora
era stato il loro regno, soffriranno la solitudine per la lontananza
dal proprio branco – per un cane non ha importanza se il
branco a cui appartiene è composto da suoi simili o da
uomini, per lui, ciò che importa, è che siano esseri
rispettosi della legge del branco – se fino ad allora non
hanno conosciuto la vita fra i conspecifici, non sapranno come
relazionarsi, se non incontreranno delle persone disposte ad aiutarli
nel loro martirio, si indeboliranno a tal punto da correre il
rischio di morire. Ma prima di arrivare alla fine, passeranno
da una serie di sofferenze e malattie psico-fisiche. Se non accetteranno
quella nuova vita, i primi segnali di sconforto li avremo nella
perdita di appetito, quindi nel dimagrimento, oppure, nella non
perdita di appetito ma nel mal assorbimento del cibo e quindi,
nel dimagrimento; il dimagrimento porta ad una debolezza fisica
e ad un indebolimento delle difese immunitarie, per cui il soggetto
sarà facile preda di virus e batteri, che aggraveranno
la sua situazione. Ora, se il cagnetto si lascerà curare,
un minimo di speranza di ripresa ce l’ha, ma se invece,
la sua insicurezza lo porterà ad una diffidenza aggressiva,
il destino non gli sarà benevolo. Se non sarà per
il nutrimento, il problema può affacciarsi solo nella psiche,
potremo vedere allora, cani con lo sguardo fisso nel vuoto, alla
ricerca di un rifugio dalla realtà.
Un cane cresciuto in canile.
Per lui niente divani e niente spuntini a scelta.
Nella migliore delle ipotesi è arrivato in canile nel cartone
assieme ai fratelli e sorelle, e come nelle famiglie selvatiche,
da loro acquisirà la sua forza. Il suo mondo sarà
circoscritto alle quattro pareti della gabbia; conoscerà
esclusivamente i rumori e gli odori del luogo; se non avrà
accanto (lui e la sua famiglia), una persona che si impegnerà
a fargli indossare un collare, per esempio, o a fargli conoscere
una pavimentazione diversa da quella del suo recinto, o le scale
o le macchine, tutto quel che di nuovo, un giorno, gli si presenterà
dinnanzi, sarà causa di forti traumi psicologici, per non
parlare dell’allontanamento dal suo clan.
Probabilmente, una sorte meno violenta la avrà un cucciolo
arrivato in solitaria, perché non conoscendo nessuno, non
avendo punti di riferimento, avendo già vissuto il distacco
dal proprio branco natio, dovrà sbrigarsi a crescere. (Ha
bruciato le tappe).
Ma quanto sarà dura all’inizio?…
Dipende dal carattere; se il soggetto cela in sé, un cane
saldo di nervi e di buon temperamento, farà presto a capire
come funzionano le cose; imparerà con facilità il
rispetto verso gli altri e il farsi rispettare a sua volta; e
quando verrà adottato (un giorno, forse!) non patirà
più di tanto, il commiato. Logicamente anche per lui vale
l’ipotesi che un’anima pia si sia presa la briga di
gettargli addosso, le basi di una vita nella ‘civiltà
umana’.
Alcuni atteggiamenti che posso essere identificati
come fattori di stress da canile, oltre al dimagrimento per non
assimilazione, sono: leccamenti, auto-lesionamenti, ciotole in
bocca o accartocciate, abbaio continuo, corse senza senso, isolamento,
ridirezione dell’aggressività su conspecifici, ciotole,
coperte, umani, guinzagli.
La noia, la solitudine, la mancanza di un contatto
con un membro della famiglia, l’incapacità di accettare
una vita diversa da quella vissuta fino ad un attimo prima, l’inadattabilità
alle sbarre della cella… possono portare un cane a ricercare
in se stesso un intimo calore. Attribuisco l’eccessivo auto-leccamento
ad un esagerato bisogno di attenzioni. Non potendo ricevere da
altro essere vivente una considerazione così intima, il
soggetto cerca un’auto-gratificazione. A volte questo smodato
godimento, porta alla lacerazione della parte. La ferita sarà
causa di maggior attenzione, e il cane può giungere all’auto-mutilazione
cercando di sanare quella stessa ferita o per eliminare il problema.
Un altro esempio di auto-gratificazione è il giocare a
rincorrersi una zampa posteriore o la coda e una volta presa,
l’una o l’altra, giocarci a tira e molla…
La coda può rimanere ferita anche per l’eccessivo
dimenarsi. Se il soggetto, sempre per una richiesta di attenzione
rivolta: a chi passa, al compagno della cella accanto, o solo
per ingannare il tempo, oscilla la coda che accidentalmente urta
la parete, e ciò avviene in maniera ripetitiva, questa
si lederà e il continuo ferimento farà si che la
lesione non possa guarire. Nella maggior parte dei casi la coda
viene amputata.
Altri soggetti possono manifestare la loro disapprovazione scaricando
aggressività sugli oggetti che hanno a disposizione: ciotole,
cucce, sbarre riducendoli ad ammassi informi di ferro o in segatura…
oppure ridirezionando il loro disappunto, il loro disagio, sullo
sfortunato compagno di prigione o sul guinzaglio del ‘portantino’
di turno.
Se invece non è aggressività a manifestarsi (o non
solo aggressività), ma temperamento, capacità di
crearsi uno stimolo esterno, le ciotole e le cose movibili a disposizione
saranno raccolte, tenute ben serrate in bocca e portate poi in
giro in bella mostra, in giro fra le quattro pareti della cella:
oggetti autistici. Oppure sarà una corsa senza senso ad
accompagnarli nella routine della giornata: cerchi rapidi sul
posto, spostamenti veloci da una parte all'altra del box, giri
concentrici effettuati su tutto il perimentro della cella. O ancora
sarà l’abbaio a tenergli compagnia. Ho visto –
e sentito – cani abbaiare per ore, pur di richiamare l’attenzione
di qualcuno; arrivati ad un certo livello di non sopportazione
della situazione, a questi soggetti non interessa neanche se la
considerazione che ne possono trarre da un simile comportamento
sia positiva o negativa, l’importante è essere considerati;
l’abbaio per tenersi compagnia ha una tonalità diversa,
non è acuta, non è aggressiva, non frenetica e non
è incessante, è ritmata come la goccia d’acqua
che cade dal rubinetto che ha la guarnizione rotta.
Oltre a queste manifestazioni attive, se ne può notare
una meno appariscente ma altrettanto pericolosa: l’isolamento
dalla realtà. Il soggetto rifiuta ogni forma di comunicazione
con l’esterno, si chiude in un angolo assumendo una posizione
di terra, il muso rivolto verso la parete, le mani chiuse all’interno
sotto lo sterno… inutile chiamarlo… non vi sentirà.
Dopo queste poche riflessioni, non è difficile capire l’importanza,
per un cane, di appartenere ad un branco-famiglia, di sentirsene
parte integrante. Una vita vissuta in equilibrio, nel rispetto
delle parti, rende comprensibile la parola “armonia". |